01 Gen Premio Nobel per la Pace 2020 al World Food Programme
Senza la pace non potremo raggiungere l’obiettivo globale di fame zero nel mondo e finché ci sarà la fame il mondo non conoscerà la pace.
«Per i suoi sforzi per combattere la fame, per il suo contributo al miglioramento delle condizioni per la pace in aree colpite da conflitti e per il suo agire come forza trainante per evitare l’uso della fame come arma di guerra e di conflitto»
Il Comitato norvegese per il Nobel ha scelto il WFP come vincitore del premio Nobel per la pace 2020. Scelta tra 318 candidati, l’agenzia ha corso per la ricezione del prestigioso premio anche con la giovane attivista svedese Greta Thunberg e il movimento Fridays for Future, l’Organizzazione mondiale per la Sanità (OMS), ma anche gli attivisti di Hong Kong.
In seno alle Nazioni Unite, il World Food Programme ha sede a Roma ed è la principale organizzazione umanitaria mondiale in campo alimentare, salvando e cambiando la vita di circa 100 milioni di persone in 88 Paesi del mondo. Nonostante il grande impegno profuso, ad oggi, una persona su nove nel mondo soffre ancora la fame. Coerentemente con l’Agenda ONU 2030 che vede al secondo punto l’obiettivo “Zero-Hunger”, il WFP dispiega ogni giorno 5.600 camion, 30 navi e circa 100 aerei per combattere la fame nel mondo laddove c’è maggiore bisogno, distribuendo circa 15mld di pasti ogni anno. Lavorando a stretto contatto con le comunità locali per migliorare la sicurezza nutrizionale e renderle più resilienti, l’operato del WFP ha anche un alto valore simbolico. Ovvero, lancia un segnale etico importante dal punto di vista ambientale, economico e sociale: è un’esortazione alla lotta allo spreco, alla conservazione della biodiversità, al sostegno ai piccoli produttori agricoli per abbattere i costi di produzione e distribuzione. In un mondo affamato, lo spreco è un’insopportabile contraddizione: nei paesi in via di sviluppo il 40% della produzione si perde per mancanza di infrastrutture di stoccaggio e di trasporto.
Con l’encomiabile lavoro nel periodo di pandemia globale che stiamo vivendo e che ha accentuato la fame nel mondo, gli aiuti del WFP sono rivolti per due terzi alle zone di guerra, dove il rischio di denutrizione è tre volte più alto, con particolare attenzione alle mamme e ai bambini: ogni anno fornisce 16 milioni di pasti a scuola in regioni inaccessibili. L’organizzazione interviene anche in caso di disastri naturali come siccità, inondazioni e terremoti che annichiliscono la vita di intere comunità. Passata l’emergenza, il WFP non le abbandona ma le aiuta a ripartire, ripristinando i mezzi di sostentamento. L’operato dell’Organizzazione dimostra come la sicurezza alimentare, pace e stabilità sino strettamente connesse tra loro.
I dati, del resto, mostrano che:
- un paese su quattro nel mondo ha un conflitto in corso;
- sei persone su dieci che soffrono la fame vivono in un Paese in conflitto;
- l’80% dei bambini colpiti da malnutrizione cronica vivono in un Paese in conflitto.
- il 77% dei conflitti ha all’origine l’insicurezza alimentare della popolazione.
Nelle guerre le colture vengono abbandonate, i periodi di semina e raccolta saltano, l’offerta ai mercati viene interrotta così come le vie di trasporto e approvvigio- namento: tutto questo ha un impatto feroce sulla popolazione. La violenza, specialmente nelle guerre moderne, provoca spostamenti di massa di persone che fuggono con ciò che è rimasto, abbandonano i loro mezzi di sostentamento e si concentrano in luoghi con acqua e servizi igienici precari dove dipendono dagli aiuti umanitari per sopravvivere. Il numero di sfollati a causa della violenza è raddoppiato tra il 2007 e il 2015 e si calcola che una persona sfollata
trascorra in media più di 17 anni nei campi profughi o presso le popolazioni ospitanti, creando per di più tensioni e concorrenza per le risorse naturali o l’occupazione. Esiste, infine, una dimensione del problema che non va dimenticata: l’uso crescente della fame come arma di guerra, attraverso l’assedio sistematico di civili, l’attacco alle infrastrutture di base per l’acqua e il sostentamento, il blocco degli aiuti umanitari. Si tratta di una tendenza in aumento in conflitti sempre più spesso combattuti da gruppi armati con poche risorse militari, che trovano quindi nella fame un’arma di guerra molto economica e praticabile.
Il direttore esecutivo del WFP, David Beasley, nel commentare con gratitudine l’assegnazione del Premio Nobel ha ricordato l’impegno instancabile di chi si dedica ogni giorno ad aiutare «quanti hanno le vite brutalmente colpite da instabilità, insicurezza e conflitti. Laddove c’è un conflitto c’è anche la fame. E dove c’è fame, spesso ci sono conflitti. Il riconoscimento di oggi ci ricorda che la sicurezza alimentare, la pace e la stabilità sono strettamente interconnesse. Senza la pace non potremo raggiungere l’obiettivo globale di fame zero nel mondo, e finché ci sarà fame, il mondo non vedrà mai la pace».
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