Il Topinambur

Dal successo all’oblio, andata e ritorno!

Appartenente alla famiglia delle Compositae, il Topinambur è il rizoma dell’Helianthus tuberosus L, una pianta ornamentale dai bellissimi fiori gialli (infiorescenze a capolino. Il nome generico (Helianthus) deriva da due parole greche: “helios” (sole) e “anthos” (fiore) in riferimento alla tendenza di alcune piante di questo genere a girare sempre il capolino verso il sole, nota come eliotropismo. L’epiteto specifico (tuberosus) indica che la pianta è perenne e l’organo di sopravvivenza è un tubero.

Questi tuberi sono piccoli e bitorzoluti, le varie specie possono essere raggruppate in due macrotipologie. Quella bordeaux o violetta la cui stagionalità va da ottobre ad aprile e quella “precoce” o topinambur bianco, che fa la sua comparsa già a fine agosto. La loro polpa soda e croccante ha un gusto intenso di carciofo che li rende unici all’interno della famiglia dei tuberi.

LA STORIA

La storia del Topinambur, come di moltissime altre verdure e ortaggi, è potuta arrivare fino ai giorni nostri grazie al lavoro di pionieri, storici botanici e naturalisti che hanno fatto della curiosità della scoperta la loro missione di vita. In tempi recenti tutta la conoscenza storica di questi personaggi è stata rielaborata da autori e biografi come la francese Évelyne Bloch-Dano, che nel suo “La favolosa storia delle Verdure” racconta la storia e le curiosità legate a dieci verdure (tra cui il Topinambur), per mostrare come quest’ultime possiedono un’aura simbolica che va oltre il mero valore calorico o commerciale. Il Topinambur è originario delle regioni settentrionali del continente nord americano (attuale Canada) e già nel 1400 era coltivato in America Latina. Usato inizialmente come pianta ornamentale per la sua bellissima fioritura gialla, la sua scoperta la si deve a Samuel Champlain, esploratore francese che arrivò nell’attuale Canada nel 1603, dove fondò l’Acadia e la città di Québec. Fu Champlain a paragonare per primo il sapore del tubero a quello del carciofo, ma il primo a portarlo in Europa fu Marc Lescarbot, un avvocato che aveva vissuto qualche mese in Acadia: l’aveva scoperto dagli indiani che lo chiamavano “chiquebi”, ma lui avrebbe voluto chiamarlo Canada; in Europa iniziarono a diffondersi con vari nomi: “noci di terra, “tartufi”, “patate”, “carciofi del Canada”.

Le pennellate linguistiche dell’Helianthus tuberosus però non sono finite: per gli inglesi diventò “Jerusalem artichoke”, denominazione dubbia che nascerebbe per alcuni dall’unione tra l’assonanza con il sostantivo italiano “girasole” pronunciato con accento inglese e il sapore che ricorda il carciofo. Per altri ancora la denominazione Carciofo di Gerusalemme proviene dai Puritani anglosassoni che una volta arrivati nel Nuovo Mondo hanno così denominato il tubero, fonte importante di sostentamento per i pionieri ed esploratori, in onore della Nuova Gerusalemme che intendevano fondare nei territori appena scoperti.

Tuttavia il nome più comune con cui viene oggi chiamato il tubero (Topinambur) proviene da una storia di origine sud americana molto particolare. Mentre il continente nord americano veniva colonizzato, nel 1613 sbarca in Francia una delegazione di indigeni del Brasile, già conosciuti nel 1578 quando Jean de Léry li descrisse nel suo “Histoire d’un voyage fait en la terre du Brésil”, considerato dal Claude Lévi-Strauss il “breviario dell’etnologo”. La rappresentanza della tribù indigena brasiliana doveva esibirsi nei loro costumi sgargianti e danze tribali per l’arrivo del giovane re Luigi XII a Rouen. Questa delegazione ebbe un grande successo per gli spettacoli che offrivano danzando e agitando le piume che indossavano, ma fecero anche molto scalpore per la caratteristica culturale della loro tribù di appartenenza essere antropofagi. Infatti questa tribù, che ancora oggi è vive a sud dello stato brasiliano di Bahia e che conta circa 3.500 individui, avevano il costume culinario di arrostire i nemici dopo aver amputato loro braccia e gambe. Usanza questa che aveva ispirato alcune riflessioni in Montaigne, per il quale «non c’è più̀ barbarie nel mangiare un uomo vivo che nel mangiarlo morto, nel lacerare con supplizi e martiri un corpo ancora sensibile, farlo arrostire a poco a poco, farlo mordere e dilaniare dai cani e dai porci – come abbiamo non solo letto, ma visto recentemente, non fra antichi nemici, ma fra vicini e concittadini e, quel che è peggio, sotto il pretesto della pietà religiosa». Questa riflessione fu fatta per denunciare la tortura e le guerre di religione che vennero fatto con il pretesto dell’antropologia. Questa tribù indigena brasiliana si chiamava già allora “I Tupinamba” e portando con se il tubero nelle stive dei galeoni francesi con cui arrivarono in Europa furono decisivi per il conio del nome moderno e principale con cui viene chiamato il tubero: il Topinambur.

Il topinambur comincia a spopolare e viene servito persino alla tavola del re. Ma, forse in ragione della connotazione peggiorativa collegata alla nozione di selvaggio nel XVII secolo, in francese la parola “topinambou” comincia a poco a poco a indicare persone volgari e ottuse, iniziando un processo di caduta nell’oblio di questo prezioso tubero. Dalla fine del XVII secolo la sua sorte è segnata. Per Antoine Furetière, nel suo Dictionnaire universel del 1690, il topinambur è «una radice tonda, nodosa, che i poveri mangiano cotta con un po’ di sale, burro e aceto». Rustico e prolifico, il topinambur perde la sua aura esotica e arriva sulle tavole dei poveri, danno irreparabile per la sua immagine. De Combles, autore dell’École du jardin potager (1752), non ha dubbi: lo indica come «il peggiore degli ortaggi, ma ancora molto consumato dal popolo». Quando dalle Americhe la patata fece la sua comparsa in Europa, il topinambur era dunque già̀ ampiamente detronizzato. Veniva utilizzato come pianta da foraggio, e in alcune zone della Normandia diventò addirittura mangime per i maiali, come testimonia l’Annuario di Falaise (nel Calvados) del 1830. Ci volle la Seconda guerra mondiale perché́ si riscopra il fascino del topinambur, che grazia alla sua buona produttività permise di scampare alla penuria di patate dovuta alle gelate, alle pessime condizioni delle strade, ai problemi dei trasporti legati al razionamento del carburante e alle razzie. In questo modo, bene o male, il topinambur sostituì la patata prendendosi una bella rivincita e ne furono molto apprezzate le virtù “carminative” (da carminare, ripulire).

Nel dopoguerra, con la ricostruzione il nuovo impulso alla crescita economica e societaria, il Topinambur subì una nuova eclissi culturale poiché si diffuse il pensiero che durante la guerra si erano mangiati troppi topinambur e ricominciare a farlo era fuori discussione. Ci è voluto mezzo secolo perché́, sulla scia delle “verdure dimenticate”, diventate dapprima “antiche”, poi “vintage” e anche molto chic, si ritrovasse il topinambur. Da ormai diversi anni il tubero viene inserito nei menu dei grandi Chef, inizialmente con il foie gras, con tartufi freschi o in accompagnamento al salmerino alpino. Ad oggi accompagna in modo esclusivo tantissime creazioni e piatti nel mondo della cucina professionale di alto livello.

Proprietà Nutrizionali

Il topinambur è un tubero dalle tante proprietà benefiche.

Ipocalorico, ha un contenuto in acqua pari all’80% e una notevole quantità di fibre, antiossidanti, vitamine e sali minerali, tanto da rappresentare una preziosa fonte di arricchimento per la nostra alimentazione. Insieme a flavonoidi e carotenoidi, le vitamine A, C ed E con la loro funzione antiossidante aiutano nel combattere i radicali liberi, proteggendoci quindi dalle potenziali infiammazioni del nostro organismo. Da evidenziare anche la presenza della vitamina H, che contrasta stanchezza e inappetenza. Tra i sali minerali, da sottolineare la presenza di potassio, che aiuta la trasmissione degli impulsi nervosi oltre a tenere sotto controllo pressione sanguigna e contrazioni muscolari, ma anche quella di magnesio, ferro, fosforo e zinco.

Fonte di fibre, è importante il suo ruolo nel mantenimento di una corretta regolarità intestinale, svolgendo quindi un’azione depurativa per l’intestino. Al posto dell’amido della patata, infatti, nel topinambur troviamo l’inulina, molecola nella quale vi è il fruttosio a sostituzione del glucosio. Questo elemento rende il tubero totalmente digeribile, oltre a combattere la stitichezza e a riequilibrare la flora batterica con la sua azione prebiotica. Tra gli altri benefici, l’inulina accelera il metabolismo e svolge un’azione diuretica per combattere la ritenzione idrica o aiutare chi soffre di patologie renali. Associata all’acqua aumenta anche il senso di sazietà, per questo il topinambur viene spesso inserito nelle diete in cui si ha come obiettivo la perdita di peso. Abbassando i livelli di assorbimento di zuccheri e grassi da parte dell’intestino, mediante l’inulina vengono anche controllati i livelli di colesterolo e quelli glicemici.

 

In conclusione, del topinambur si può dire che:

 

  • È privo di glutine
  • È un antiossidante naturale
  • È ricco di fibre
  • Riduce i livelli di zuccheri e colesterolo nel sangue
  • Combatte stress e stanchezza
  • Ha proprietà depurative
  • Accelera il metabolismo
  • Contrasta l’anemia

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